Diritti d’autore: lo scandalo della ‘copia privata’
Diritti d’autore: lo scandalo della ‘copia privata’
Grassetto solo la parte che potrebbe interessare più del resto (l'intero articolo però è interessante e da leggere), poi chi vuole intendere in tenda, tutti gli altri in sacco a pelo
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Il Golpe della “copia privata”
Ha dell’incredibile quanto sta accadendo, negli ultimi giorni, a proposito del c.d. equo compenso da copia privata ovvero l’indennizzo che i produttori e distributori di supporti e dispositivi utilizzabili – anche solo in astratto – per la fissazione di copie, ad uso personale, di opere coperte da diritto d’autore sono tenuti a pagare alla SIAE affinché li distribuisca agli aventi diritto per rimediare ai presunti mancati profitti imputabili a tale fenomeno.
A metà novembre il Maestro Gino Paoli, Presidente della SIAE chiede al Ministro dei Beni e delle Attività Culturali, Massimo Bray di adeguare i compensi previsti dalla vigente disciplina italiana datata 2009, alla media europea che, a dire di Paoli, è sensibilmente più elevata.
La SIAE chiede ed il Ministro obbedisce, dimenticando – forse – che la disciplina vigente già prevede un meccanismo per l’adeguamento dell’equo compenso, stabilendo, proprio a tal fine, che il Ministro debba proporre al Presidente del Consiglio dei Ministri l’istituzione di un tavolo tecnico attorno al quale far sedere i rappresentanti di tutte le categorie interessate.
Certo non è colpa del Ministro Bray – ultimo arrivato – se nessuno, in quasi tre anni ha mai chiesto l’istituzione del tavolo ma è altrettanto evidente che, quest’ultimo, pur potendo, si guarda bene da rispondere garbatamente a Paoli che Vi avrebbe provveduto dopo aver sentito tutti i soggetti interessati.
Accade, invece, che gli uffici del Ministero si mettono al lavoro di buona lena ed in gran segreto e mettono a punto una bozza di decreto che non solo non viene posta in consultazione pubblica come sarebbe stato auspicabile – ancorché non previsto da nessuna norma di legge – ma non viene neppure condivisa con i rappresentanti delle associazioni di categoria e, in particolare, con i consumatori che nelle prossime settimane si vedranno costretti a pagare decine di milioni di euro in più rispetto a quanto hanno pagato sino allo scorso anno, ogni qualvolta acquisteranno un telefonino, un pc, un hard disk ed ogni altro genere di dispositivo tecnologico, idoneo ad ospitare contenuti coperti da diritto d’autore a prescindere dal fatto che, poi, lo utilizzino o meno, a tal fine.
Nei giorni scorsi, Altroconsumo, una delle maggiori associazioni italiane di consumatori ed utenti, prende carta e penna e scrive al Ministro, chiedendo conferma di quanto precede, l’istituzione del tavolo tecnico e di ricevere, almeno, copia della bozza di decreto alla quale starebbero lavorando gli uffici del Ministero.
Segue solo un rumoroso silenzio.
Frattanto tra le molte critiche che vengono indirizzate alla nuova emananda disciplina, ve ne sono alcune attraverso le quali si fa notare al Ministro che, a prescindere da ogni altra considerazione, le medie europee che si stanno ponendo alla base degli adeguamenti della misura dell’equo compenso sono “truccate” perché tengono conto solo dei Paesi europei nei quali è in vigore una disciplina analoga a quella italiana mentre non considerano affatto i tanti Paesi – la più parte – nei quali esistono regole completamente diverse.
Ma non basta.
Nelle critiche, sfortunatamente basate solo su un fastidioso rincorrersi di voci, si fa anche notare come discutere solo della misura dell’equo compenso da copia privata sua fuorviante visto che i modelli di prelievo sono diversi.
Niente da fare.
Il Ministro sembra sordo ad ogni sollecitazione e prosegue per la sua strada.
Ieri il colpo di scena da autentico golpe d’inverno.
In Parlamento, nascosta nelle pieghe di uno dei migliaia di emendamenti alla legge di stabilità, salta fuori una disposizione che dice al Ministro di procedere esattamente come sta procedendo.
Ecco il testo: “Al fine di sostenere il diritto d’autore e le attività dello spettacolo, dall’entrata in vigore della presente legge, i compensi previsti per ciascuno degli apparecchi o supporti di cui al comma 1 dell’articolo 71-septies della legge 22 aprile 1941, n. 633, sono aggiornati, con il decreto del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo di cui al medesimo articolo 71-septies, in misura almeno pari alle corrispondenti medie europee accertate dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, sentita la Società Italiana Autori Editori (S.I.A.E.), e calcolate con esclusivo riguardo ai Paesi Europei nei cui ordinamenti è prevista la remunerazione della riproduzione privata ad uso personale.”.
Il Parlamento, dunque, senza neppure rendersene conto, si avvia a ratificare l’operato del Ministro e così facendo a far propri i desiderata dei titolari dei diritti rappresentati dalla SIAE.
Ricapitoliamo: la SIAE chiede, il Ministro esegue ed il Parlamento ratifica.
La democrazia è un’altra cosa ma, evidentemente, è ormai diffuso il convincimento che nel nome del diritto d’autore sia tutto permesso.
Il fine giustifica i mezzi come diceva Macchiavelli.
Ma non basta perché, già che c’erano, gli estensori dell’emendamento, hanno pensato di fare anche un regalo a quella che, probabilmente, ne è stata la vera ispiratrice: la SIAE.
La disposizione, infatti, prevede anche che “Il 50 per cento dell’eventuale incremento rispetto all’esercizio 2012 dei compensi ripartibili annualmente alla S.I.A.E ai sensi dei commi 1 e 3 dell’articolo 71-octies della legge 22 aprile 1941, n. 633, è destinato dalla S.I.A.E. stessa, d’intesa con il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al sostegno delle attività previste dal comma 2 dall’articolo 2 dello statuto della S.I.A.E.”
I consumatori, dunque, verseranno decine di milioni di euro e la SIAE, prima di ripartire tra gli aventi diritto quanto di loro spettanza, oltre a trattenere per sé milioni e milioni di euro [n.d.r. da 10 milioni di euro a salire se le nuove “tariffe” entreranno in vigore] a titolo di c.d. rimborso spese per la gestione della copia privata, potrà trattenere anche un cospicuo tesoretto da utilizzare, a propria assoluta discrezionalità, per finanziare iniziative meritevoli nei settori di propria competenza.
E’ questo il ruolo del Parlamento in un Paese democratico?
Essere il braccio armato di questa o quella lobby per tradurre in legge desiderata personali?
Nessuno mette in dubbio l’esigenza di garantire agli autori quanto loro necessario per continuare a creare arte e cultura ma, nel farlo, non si può abbandonare – come accade sempre più di frequente – la strada maestra delle regole democratiche.
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Il Golpe della “copia privata”
Ha dell’incredibile quanto sta accadendo, negli ultimi giorni, a proposito del c.d. equo compenso da copia privata ovvero l’indennizzo che i produttori e distributori di supporti e dispositivi utilizzabili – anche solo in astratto – per la fissazione di copie, ad uso personale, di opere coperte da diritto d’autore sono tenuti a pagare alla SIAE affinché li distribuisca agli aventi diritto per rimediare ai presunti mancati profitti imputabili a tale fenomeno.
A metà novembre il Maestro Gino Paoli, Presidente della SIAE chiede al Ministro dei Beni e delle Attività Culturali, Massimo Bray di adeguare i compensi previsti dalla vigente disciplina italiana datata 2009, alla media europea che, a dire di Paoli, è sensibilmente più elevata.
La SIAE chiede ed il Ministro obbedisce, dimenticando – forse – che la disciplina vigente già prevede un meccanismo per l’adeguamento dell’equo compenso, stabilendo, proprio a tal fine, che il Ministro debba proporre al Presidente del Consiglio dei Ministri l’istituzione di un tavolo tecnico attorno al quale far sedere i rappresentanti di tutte le categorie interessate.
Certo non è colpa del Ministro Bray – ultimo arrivato – se nessuno, in quasi tre anni ha mai chiesto l’istituzione del tavolo ma è altrettanto evidente che, quest’ultimo, pur potendo, si guarda bene da rispondere garbatamente a Paoli che Vi avrebbe provveduto dopo aver sentito tutti i soggetti interessati.
Accade, invece, che gli uffici del Ministero si mettono al lavoro di buona lena ed in gran segreto e mettono a punto una bozza di decreto che non solo non viene posta in consultazione pubblica come sarebbe stato auspicabile – ancorché non previsto da nessuna norma di legge – ma non viene neppure condivisa con i rappresentanti delle associazioni di categoria e, in particolare, con i consumatori che nelle prossime settimane si vedranno costretti a pagare decine di milioni di euro in più rispetto a quanto hanno pagato sino allo scorso anno, ogni qualvolta acquisteranno un telefonino, un pc, un hard disk ed ogni altro genere di dispositivo tecnologico, idoneo ad ospitare contenuti coperti da diritto d’autore a prescindere dal fatto che, poi, lo utilizzino o meno, a tal fine.
Nei giorni scorsi, Altroconsumo, una delle maggiori associazioni italiane di consumatori ed utenti, prende carta e penna e scrive al Ministro, chiedendo conferma di quanto precede, l’istituzione del tavolo tecnico e di ricevere, almeno, copia della bozza di decreto alla quale starebbero lavorando gli uffici del Ministero.
Segue solo un rumoroso silenzio.
Frattanto tra le molte critiche che vengono indirizzate alla nuova emananda disciplina, ve ne sono alcune attraverso le quali si fa notare al Ministro che, a prescindere da ogni altra considerazione, le medie europee che si stanno ponendo alla base degli adeguamenti della misura dell’equo compenso sono “truccate” perché tengono conto solo dei Paesi europei nei quali è in vigore una disciplina analoga a quella italiana mentre non considerano affatto i tanti Paesi – la più parte – nei quali esistono regole completamente diverse.
Ma non basta.
Nelle critiche, sfortunatamente basate solo su un fastidioso rincorrersi di voci, si fa anche notare come discutere solo della misura dell’equo compenso da copia privata sua fuorviante visto che i modelli di prelievo sono diversi.
Niente da fare.
Il Ministro sembra sordo ad ogni sollecitazione e prosegue per la sua strada.
Ieri il colpo di scena da autentico golpe d’inverno.
In Parlamento, nascosta nelle pieghe di uno dei migliaia di emendamenti alla legge di stabilità, salta fuori una disposizione che dice al Ministro di procedere esattamente come sta procedendo.
Ecco il testo: “Al fine di sostenere il diritto d’autore e le attività dello spettacolo, dall’entrata in vigore della presente legge, i compensi previsti per ciascuno degli apparecchi o supporti di cui al comma 1 dell’articolo 71-septies della legge 22 aprile 1941, n. 633, sono aggiornati, con il decreto del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo di cui al medesimo articolo 71-septies, in misura almeno pari alle corrispondenti medie europee accertate dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, sentita la Società Italiana Autori Editori (S.I.A.E.), e calcolate con esclusivo riguardo ai Paesi Europei nei cui ordinamenti è prevista la remunerazione della riproduzione privata ad uso personale.”.
Il Parlamento, dunque, senza neppure rendersene conto, si avvia a ratificare l’operato del Ministro e così facendo a far propri i desiderata dei titolari dei diritti rappresentati dalla SIAE.
Ricapitoliamo: la SIAE chiede, il Ministro esegue ed il Parlamento ratifica.
La democrazia è un’altra cosa ma, evidentemente, è ormai diffuso il convincimento che nel nome del diritto d’autore sia tutto permesso.
Il fine giustifica i mezzi come diceva Macchiavelli.
Ma non basta perché, già che c’erano, gli estensori dell’emendamento, hanno pensato di fare anche un regalo a quella che, probabilmente, ne è stata la vera ispiratrice: la SIAE.
La disposizione, infatti, prevede anche che “Il 50 per cento dell’eventuale incremento rispetto all’esercizio 2012 dei compensi ripartibili annualmente alla S.I.A.E ai sensi dei commi 1 e 3 dell’articolo 71-octies della legge 22 aprile 1941, n. 633, è destinato dalla S.I.A.E. stessa, d’intesa con il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al sostegno delle attività previste dal comma 2 dall’articolo 2 dello statuto della S.I.A.E.”
I consumatori, dunque, verseranno decine di milioni di euro e la SIAE, prima di ripartire tra gli aventi diritto quanto di loro spettanza, oltre a trattenere per sé milioni e milioni di euro [n.d.r. da 10 milioni di euro a salire se le nuove “tariffe” entreranno in vigore] a titolo di c.d. rimborso spese per la gestione della copia privata, potrà trattenere anche un cospicuo tesoretto da utilizzare, a propria assoluta discrezionalità, per finanziare iniziative meritevoli nei settori di propria competenza.
E’ questo il ruolo del Parlamento in un Paese democratico?
Essere il braccio armato di questa o quella lobby per tradurre in legge desiderata personali?
Nessuno mette in dubbio l’esigenza di garantire agli autori quanto loro necessario per continuare a creare arte e cultura ma, nel farlo, non si può abbandonare – come accade sempre più di frequente – la strada maestra delle regole democratiche.
- Bazzooka
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Re: L'agent Provocateur
mi sono letto per intiero l'articolo
e da quanto ho capito :
- nessuna novita' sull'obbligo della licenza digitale
(che rimane superflua per chiunque abbia acquaistato musica o multimedia legalmente, e che si faccia ogni copia che vuole, basta che la usi da solo, e non le regali)
- un aumento del costo di CD vergini, HardDisc, PenDrive, memorie Flash, SimCard, e di tutti gli apparecchi che le contegono
(e la SIAE se pappa piu' della meta' della torta).
Il tutto senza che ne sia stato chiesto parere a nessuno
@morpheus
Ho sintetizzato efficacemente ?
Augh !
e da quanto ho capito :
- nessuna novita' sull'obbligo della licenza digitale
(che rimane superflua per chiunque abbia acquaistato musica o multimedia legalmente, e che si faccia ogni copia che vuole, basta che la usi da solo, e non le regali)
- un aumento del costo di CD vergini, HardDisc, PenDrive, memorie Flash, SimCard, e di tutti gli apparecchi che le contegono
(e la SIAE se pappa piu' della meta' della torta).
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@morpheus
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Amministratore e socio fondatore DigitalJockey.it (segretario)
Beta Tester MixVibes "VFX" - VirtualDJ "VideoMixExpert"
www.Bazzooka.it ......mail to Bazzooka@DigitalJockey.it
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Re: L'agent Provocateur
direi che meglio di così non si poteva ma se proprio vogliamo andare a cercare il pelo nell'uovo, quel basta che non lo regali ( o comunque lo ceda) è esattamente la stessa limitazione imposta a chi ha sottoscritto la licenza. In pratica la licenza ti consente di fare esattamente un "copia privata", paro paro a quello che si può fare normalmente con la legge.
Quindi domani io mi vedrò aumentato il cosiddetto equo compenso per la copia che normalmente costituisce quel "diritto" da riconoscere agli autori ( e badate bene che se io mi copio i Killing Joke, i soldi non li prende il gruppo inglese ma vanno agli iscritti SIAE italiani, magari gli stessi che vi chiedono la DJ Online) ma che si papperà la SIAE per il suo "servizio". Io però li fermerò perché certo, la DJ Online non la farò mai. Chi invece l'ha fatta, oltre all'aumento, potrebbe pure con l'anno nuovo trovare un ulteriore ritocchino alla sua licenza perché si parla anche di questo tra le righe, si parla di una richiesta di "adeguamento all'europa" perché questo non si limita al solo equo compenso.
Da altre parti, sempre nell'ambito dei diritti d'autore e connessi, già da qualche tempo si è avanzata quella richiesta...
Quindi domani io mi vedrò aumentato il cosiddetto equo compenso per la copia che normalmente costituisce quel "diritto" da riconoscere agli autori ( e badate bene che se io mi copio i Killing Joke, i soldi non li prende il gruppo inglese ma vanno agli iscritti SIAE italiani, magari gli stessi che vi chiedono la DJ Online) ma che si papperà la SIAE per il suo "servizio". Io però li fermerò perché certo, la DJ Online non la farò mai. Chi invece l'ha fatta, oltre all'aumento, potrebbe pure con l'anno nuovo trovare un ulteriore ritocchino alla sua licenza perché si parla anche di questo tra le righe, si parla di una richiesta di "adeguamento all'europa" perché questo non si limita al solo equo compenso.
Da altre parti, sempre nell'ambito dei diritti d'autore e connessi, già da qualche tempo si è avanzata quella richiesta...
Re: L'agent Provocateur
Qualche elemento in più allo scandalo e non dimenticate che a marzo potrebbe essere legge il regolamento dell'AGCOM
http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/12 ... ro/810369/" onclick="window.open(this.href);return false;
Diritti d’autore: lo scandalo della ‘copia privata’. Salasso da duecento milioni di euro
di Guido Scorza
I prezzi di smartphone, tablet e Pc – assieme a quelli di decine di altri supporti e dispositivi – il prossimo anno, in Italia, aumenteranno di oltre cento milioni di euro.
Smartphone e Personal Computer, ad esempio, costeranno oltre 4 euro in più del prezzo attuale mentre il costo di un tablet aumenterà “solo” – si fa per dire – di poco più di 3 euro.
Il salasso che sta per abbattersi sul mercato dei supporti di registrazione [n.d.r. dc, dvd, hard disk e pendrive] e dei dispositivi utilizzabili per la registrazione [telefonini, lettori MP3, smartphones, tablet, pc e persino televisori] è dovuto ad un Decreto al quale il Ministero dei Beni e delle Attività culturali sta lavorando, in gran segreto, da settimane allo scopo di aggiornare i cosiddetti compensi da copia privata ovvero l’indennizzo che la legge sul diritto d’autore prevede venga riconosciuto ai titolari dei diritti a fronte del sacrificio che soffrono ogni qualvolta un utente effettua una copia per uso personale di una loro opera, legittimamente – cioè dopo averne acquistato un originale – ma senza pagare un apposito prezzo.
Si tratta di un nuovo brutto scandalo italiano che rischia di consumarsi nel silenzio dei media e nell’indifferenza dei più.
Un giudizio tanto severo trova è dovuto a ragioni di metodo ed a questioni di merito.
Cominciamo dalle prime.
E’ un dato di fatto – facilmente dimostrabile da una lunga serie di tracce documentali lasciate alle spalle – che al Ministero dei Beni culturali stanno scrivendo la nuova disciplina praticamente sotto dettatura della Siae, la Società italiana autori ed editori che si è presa la briga di inoltrare al ministro i propri dati di mercato, le proprie rilevazioni e persino una bozza del decreto che sarà.
E’ un fatto inaccettabile sotto il profilo del metodo.
E’, naturalmente, assolutamente normale che Siae venga coinvolta nel processo di redazione della nuova normativa ma non le si può attribuire una leadership nel processo di normazione per la semplice e non trascurabile ragione che la Siae è portatrice di un interesse proprio ed egoistico nella partita giacché ricava, oggi, circa quattro milioni di euro dall’intermediazione del cosiddetto equo compenso e ricaverà dall’anno prossimo oltre 10 milioni di euro dai compensi oggetto del Decreto che sta contribuendo a scrivere.
E’ come se si chiedesse ad un esattore delle tasse pagato a percentuale di scrivere, al posto del Ministero dell’Economia, una legge su una nuova tassa.
Nessuno potrebbe meravigliarsi di scoprire che le aliquote del nuovo balzello sono straordinariamente salate.
E’ grave che il ministro Bray non abbia colto questa vistosa anomalia.
Ed è ancora più grave se si considera che la disciplina vigente prevede che il Ministero proceda al suo aggiornamento sulla base dei lavori di un tavolo tecnico da istituire ed al quale invitare tutti i rappresentanti delle categorie interessate. Inutile che il tavolo in questione non è mai stato istituito e che si è preferito lavorare ad un “tavolinetto” con la sola Siae ed una piccola pattuglia di soggetti portatori dei soli interessi dei titolari dei diritti.
Ma non basta.
Sempre per stare alle questioni di metodo è gravissimo che il Ministero dia credito a quanto le racconta Siae a proposito della circostanza che l’adeguamento si renda necessario perché il cosiddetto equo compenso sarebbe, in Italia, straordinariamente più basso (oltre il 70%) rispetto alla media europea. Gravissimo perché la “media” europea della quale parla Siae, in alcuni casi – smartphones e tablet ad esempio – non è quella dei 28 Paesi dell’Unione ma dei soli due o tre Paesi che, ad oggi, prevedono un compenso da copia privata basato su un sistema analogo a quello italiano e che incide sulle stesse categorie di dispositivi. Serve davvero coraggio per definire media europea un confronto alla buona con i valori applicati in un paio di Paesi su oltre 28.
E veniamo alle questioni di merito o, almeno, alle principali.
La prima è a dir poco eclatante: il presupposto del cosiddetto equo compenso è che il consumatore si faccia una copia, per fini personali, di una canzone o di un film, senza che la licenza in forza della quale fruisce dell’opera lo preveda espressamente.
La classica ipotesi era la registrazione su una cassetta dell’album che si era acquistato sul vecchio disco in vinile. Su uno smartphone o su un tablet, però, è davvero difficile copiare musica o film diversi da quelli che si acquistano sulle piattaforme dei grandi distributori concludendo contratti di licenza che prevedono espressamente ogni possibile forma di utilizzo dell’opera in questione e vietano tassativamente ogni ulteriore modalità di fruizione. Il rischio – per non dire la certezza – è, quindi, che precedere un così salato equo compenso su smartphone e tablet significhi imporre al consumatore di pagare due volte per lo stesso utilizzo dell’opera che ha acquistato: una volta come prezzo della licenza ed una seconda come equo compenso.
E’ una soluzione semplicemente iniqua che Siae ha rappresentato al Ministero come equa.
E’ l’ennesimo scandalo italiano e dispiace constatare che il Ministero dei Beni e delle attività culturali offra il palcoscenico per una cosa triste rappresentazione del dramma democratico che il Paese sta vivendo.
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Diritti d’autore: lo scandalo della ‘copia privata’. Salasso da duecento milioni di euro
di Guido Scorza
I prezzi di smartphone, tablet e Pc – assieme a quelli di decine di altri supporti e dispositivi – il prossimo anno, in Italia, aumenteranno di oltre cento milioni di euro.
Smartphone e Personal Computer, ad esempio, costeranno oltre 4 euro in più del prezzo attuale mentre il costo di un tablet aumenterà “solo” – si fa per dire – di poco più di 3 euro.
Il salasso che sta per abbattersi sul mercato dei supporti di registrazione [n.d.r. dc, dvd, hard disk e pendrive] e dei dispositivi utilizzabili per la registrazione [telefonini, lettori MP3, smartphones, tablet, pc e persino televisori] è dovuto ad un Decreto al quale il Ministero dei Beni e delle Attività culturali sta lavorando, in gran segreto, da settimane allo scopo di aggiornare i cosiddetti compensi da copia privata ovvero l’indennizzo che la legge sul diritto d’autore prevede venga riconosciuto ai titolari dei diritti a fronte del sacrificio che soffrono ogni qualvolta un utente effettua una copia per uso personale di una loro opera, legittimamente – cioè dopo averne acquistato un originale – ma senza pagare un apposito prezzo.
Si tratta di un nuovo brutto scandalo italiano che rischia di consumarsi nel silenzio dei media e nell’indifferenza dei più.
Un giudizio tanto severo trova è dovuto a ragioni di metodo ed a questioni di merito.
Cominciamo dalle prime.
E’ un dato di fatto – facilmente dimostrabile da una lunga serie di tracce documentali lasciate alle spalle – che al Ministero dei Beni culturali stanno scrivendo la nuova disciplina praticamente sotto dettatura della Siae, la Società italiana autori ed editori che si è presa la briga di inoltrare al ministro i propri dati di mercato, le proprie rilevazioni e persino una bozza del decreto che sarà.
E’ un fatto inaccettabile sotto il profilo del metodo.
E’, naturalmente, assolutamente normale che Siae venga coinvolta nel processo di redazione della nuova normativa ma non le si può attribuire una leadership nel processo di normazione per la semplice e non trascurabile ragione che la Siae è portatrice di un interesse proprio ed egoistico nella partita giacché ricava, oggi, circa quattro milioni di euro dall’intermediazione del cosiddetto equo compenso e ricaverà dall’anno prossimo oltre 10 milioni di euro dai compensi oggetto del Decreto che sta contribuendo a scrivere.
E’ come se si chiedesse ad un esattore delle tasse pagato a percentuale di scrivere, al posto del Ministero dell’Economia, una legge su una nuova tassa.
Nessuno potrebbe meravigliarsi di scoprire che le aliquote del nuovo balzello sono straordinariamente salate.
E’ grave che il ministro Bray non abbia colto questa vistosa anomalia.
Ed è ancora più grave se si considera che la disciplina vigente prevede che il Ministero proceda al suo aggiornamento sulla base dei lavori di un tavolo tecnico da istituire ed al quale invitare tutti i rappresentanti delle categorie interessate. Inutile che il tavolo in questione non è mai stato istituito e che si è preferito lavorare ad un “tavolinetto” con la sola Siae ed una piccola pattuglia di soggetti portatori dei soli interessi dei titolari dei diritti.
Ma non basta.
Sempre per stare alle questioni di metodo è gravissimo che il Ministero dia credito a quanto le racconta Siae a proposito della circostanza che l’adeguamento si renda necessario perché il cosiddetto equo compenso sarebbe, in Italia, straordinariamente più basso (oltre il 70%) rispetto alla media europea. Gravissimo perché la “media” europea della quale parla Siae, in alcuni casi – smartphones e tablet ad esempio – non è quella dei 28 Paesi dell’Unione ma dei soli due o tre Paesi che, ad oggi, prevedono un compenso da copia privata basato su un sistema analogo a quello italiano e che incide sulle stesse categorie di dispositivi. Serve davvero coraggio per definire media europea un confronto alla buona con i valori applicati in un paio di Paesi su oltre 28.
E veniamo alle questioni di merito o, almeno, alle principali.
La prima è a dir poco eclatante: il presupposto del cosiddetto equo compenso è che il consumatore si faccia una copia, per fini personali, di una canzone o di un film, senza che la licenza in forza della quale fruisce dell’opera lo preveda espressamente.
La classica ipotesi era la registrazione su una cassetta dell’album che si era acquistato sul vecchio disco in vinile. Su uno smartphone o su un tablet, però, è davvero difficile copiare musica o film diversi da quelli che si acquistano sulle piattaforme dei grandi distributori concludendo contratti di licenza che prevedono espressamente ogni possibile forma di utilizzo dell’opera in questione e vietano tassativamente ogni ulteriore modalità di fruizione. Il rischio – per non dire la certezza – è, quindi, che precedere un così salato equo compenso su smartphone e tablet significhi imporre al consumatore di pagare due volte per lo stesso utilizzo dell’opera che ha acquistato: una volta come prezzo della licenza ed una seconda come equo compenso.
E’ una soluzione semplicemente iniqua che Siae ha rappresentato al Ministero come equa.
E’ l’ennesimo scandalo italiano e dispiace constatare che il Ministero dei Beni e delle attività culturali offra il palcoscenico per una cosa triste rappresentazione del dramma democratico che il Paese sta vivendo.
Re: L'agent Provocateur
Un bell'articolo di Marco Schiaffino. In un passaggio del pezzo, viene implicitamente chiarito un aspetto che qui in questo forum più volte è stato discusso. L'equo compenso grava su tutto è potenzialmente capace di registrare, compresi gli HD ed anche i software ma per legge è "valido" per la copia dei dischi e non per i download da internet, per questi ultimi valgono le regole del sito, il quale (permettendolo) autorizza alla copia in forma illimitata o limitata, a seconda dei casi.
In tutti i casi sempre e solo ad uso personale e senza scopi commerciali o di cessione.
Quindi un vinile copiato, paga l'equo compenso ed è legale grazie all'equo compenso, la copia del download di beatport è legale grazie all'autorizzazione del sito stesso ma non dovrebbe pagare l'equo compenso che invece, paga. Una sorta di doppia tassazione (perché prelevata alla fonte) che diventa tripla se ci metti nel conto (questa volta volontariamente senza che nessuno ti obblighi) anche la licenza dj.
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Copia privata: per la Siae e il governo usiamo ancora i grammofoni?
di Marco Schiaffino | 14 dicembre 2013
La bufera abbattutasi sulla Siae negli ultimi giorni è un bell’esempio di come funzionino le cose nel nostro paese. Riassumiamo: come spiegato da Guido Scorza in questo suo post, la Società Italiana Autori ed Editori ha chiesto di rivedere il sistema di calcolo del famigerato compenso per copia privata. Le modalità con cui tutto questo sta avvenendo sono eloquenti in sé, ma a il vizio della questione è nella natura stessa della tassa (chiamarlo indennizzo come pretende di fare Siae è davvero ridicolo) di cui si parla.
L’equo compenso per copia privata, cito dallo stesso sito della Siae, è una somma che il consumatore paga “in cambio della possibilità di effettuare registrazioni di opere protette dal diritto d’autore. In questo modo ognuno può effettuare una copia con grande risparmio rispetto all’acquisto di un altro originale oltre a quello di cui si è già in possesso”. In pratica, la Società Italiana Autori ed Editori concede a noi consumatori, bontà loro, il diritto di duplicare una canzone che abbiamo comprato su Cd per poterla ascoltare non solo sullo stereo, ma anche sull’autoradio, sul lettore MP3 o sullo smartphone. In cambio, Siae incassa milioni di euro ogni anno, prelevandoli alla fonte. Il compenso, infatti, si paga per qualsiasi tipo di dispositivo che potenzialmente consenta di eseguire una copia.
Già così, la cosa risulta abbastanza fastidiosa. Non pago per ciò che faccio, ma pago per ciò che potrei fare con un dispositivo che ha mille altre funzioni e che mi trovo a usare per mille altre necessità. La vera domanda, però, è se esita ancora il mondo di cui si sta parlando. C’è ancora qualcuno che compra brani musicali su Cd audio? O film su Dvd? Risposta: Pochissimi. I film e i brani MP3, finiscono su computer e dispositivi vari sopratutto in due modi: o tramite l’acquisto diretto del file, o tramite il download illegale. Nel primo caso, la copia e l’utilizzo su vari dispositivi è previsto e già remunerato dal prezzo che paghiamo. Nel secondo (non mi dilungo in valutazioni che qui poco rilevano) siamo fuori da qualsiasi valutazione su “diritti” e “copie”. Da un punto di vista formale, però, l’equo compenso non è (e non potrebbe essere) una “tassa sulla pirateria”. Che diavolo paghiamo allora?
La Siae ci racconta che, all’alba del 2013, le opere dell’ingegno sono individuabili con supposti “originali” e che l’oggetto dell’acquisto della suddetta opera sia, appunto, il “supporto originale”. Se questa fosse la verità, significherebbe che dalle parti della Siae si sono persi (o fanno finta di essersi persi) almeno un paio di ere geologiche. Dai primi sussulti legati al boom del digitale sono passati 15 anni e chiunque abbia un minimo di onestà intellettuale dovrebbe essersi reso conto che il concetto stesso di “copia originale” ha perso di senso. È “copia originale” il file MP3 acquistato su iTunes o ascoltato in streaming su Spotify? È copia originale il film trasmesso in streaming su Netflix o noleggiato qualsiasi altro servizio online? No. Sono contenuti. Contenuti che il consumatore acquista o noleggia per usufruirne tramite uno qualsiasi dei dispositivi che possiede. Il fatto che per vederli se ne faccia una, cento o mille copie è diventato assolutamente ininfluente. Per tutti: consumatori, autori, distributori. Per tutti tranne che per la Siae.
La verità è che da 3 anni paghiamo una tassa che porta milioni di euro nelle casse della Società Italiana Autori ed Editori senza alcun motivo logico. Autori ed editori si sono adeguati da tempo al “nuovo mondo” e hanno adeguato il loro “modello di business” abbastanza velocemente. Lo ha fatto anche la Siae, che incassa i diritti dai negozi online e dai servizi streaming. La pervicacia con cui la Società Italiana Autori ed Editori finge di sostenere una visione del mondo preistorica è dovuta solo alla volontà di non rinunciare ai (tanti) soldi che il meccanismo dell’equo compenso porta nelle loro casse.
Ora Siae ha “chiesto” che l’equo (sigh!) compenso per copia privata venga aumentato attraverso un meccanismo ridicolo, che fa riferimento a una “media europea” disegnata su misura per incassare più denaro. Lo ha fatto sapendo che il governo, a caccia di soldi almeno quanto lo è la Società Italiana Autori ed Editori, vedrà di buon occhio una manovra che porterà nelle sue casse qualche milioncino di euro, che male non fa. Già, perché l’equo compenso si riversa sui prezzi dei prodotti e quindi genera Iva. Tutti contenti, quindi. Tranne i consumatori, che oltre a trovarsi qualche euro in meno nel portafogli, dovranno constatare ancora una volta come la logica debba arrendersi di fronte agli interessi economici contingenti.
In tutti i casi sempre e solo ad uso personale e senza scopi commerciali o di cessione.
Quindi un vinile copiato, paga l'equo compenso ed è legale grazie all'equo compenso, la copia del download di beatport è legale grazie all'autorizzazione del sito stesso ma non dovrebbe pagare l'equo compenso che invece, paga. Una sorta di doppia tassazione (perché prelevata alla fonte) che diventa tripla se ci metti nel conto (questa volta volontariamente senza che nessuno ti obblighi) anche la licenza dj.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/12 ... ni/813550/" onclick="window.open(this.href);return false;
Copia privata: per la Siae e il governo usiamo ancora i grammofoni?
di Marco Schiaffino | 14 dicembre 2013
La bufera abbattutasi sulla Siae negli ultimi giorni è un bell’esempio di come funzionino le cose nel nostro paese. Riassumiamo: come spiegato da Guido Scorza in questo suo post, la Società Italiana Autori ed Editori ha chiesto di rivedere il sistema di calcolo del famigerato compenso per copia privata. Le modalità con cui tutto questo sta avvenendo sono eloquenti in sé, ma a il vizio della questione è nella natura stessa della tassa (chiamarlo indennizzo come pretende di fare Siae è davvero ridicolo) di cui si parla.
L’equo compenso per copia privata, cito dallo stesso sito della Siae, è una somma che il consumatore paga “in cambio della possibilità di effettuare registrazioni di opere protette dal diritto d’autore. In questo modo ognuno può effettuare una copia con grande risparmio rispetto all’acquisto di un altro originale oltre a quello di cui si è già in possesso”. In pratica, la Società Italiana Autori ed Editori concede a noi consumatori, bontà loro, il diritto di duplicare una canzone che abbiamo comprato su Cd per poterla ascoltare non solo sullo stereo, ma anche sull’autoradio, sul lettore MP3 o sullo smartphone. In cambio, Siae incassa milioni di euro ogni anno, prelevandoli alla fonte. Il compenso, infatti, si paga per qualsiasi tipo di dispositivo che potenzialmente consenta di eseguire una copia.
Già così, la cosa risulta abbastanza fastidiosa. Non pago per ciò che faccio, ma pago per ciò che potrei fare con un dispositivo che ha mille altre funzioni e che mi trovo a usare per mille altre necessità. La vera domanda, però, è se esita ancora il mondo di cui si sta parlando. C’è ancora qualcuno che compra brani musicali su Cd audio? O film su Dvd? Risposta: Pochissimi. I film e i brani MP3, finiscono su computer e dispositivi vari sopratutto in due modi: o tramite l’acquisto diretto del file, o tramite il download illegale. Nel primo caso, la copia e l’utilizzo su vari dispositivi è previsto e già remunerato dal prezzo che paghiamo. Nel secondo (non mi dilungo in valutazioni che qui poco rilevano) siamo fuori da qualsiasi valutazione su “diritti” e “copie”. Da un punto di vista formale, però, l’equo compenso non è (e non potrebbe essere) una “tassa sulla pirateria”. Che diavolo paghiamo allora?
La Siae ci racconta che, all’alba del 2013, le opere dell’ingegno sono individuabili con supposti “originali” e che l’oggetto dell’acquisto della suddetta opera sia, appunto, il “supporto originale”. Se questa fosse la verità, significherebbe che dalle parti della Siae si sono persi (o fanno finta di essersi persi) almeno un paio di ere geologiche. Dai primi sussulti legati al boom del digitale sono passati 15 anni e chiunque abbia un minimo di onestà intellettuale dovrebbe essersi reso conto che il concetto stesso di “copia originale” ha perso di senso. È “copia originale” il file MP3 acquistato su iTunes o ascoltato in streaming su Spotify? È copia originale il film trasmesso in streaming su Netflix o noleggiato qualsiasi altro servizio online? No. Sono contenuti. Contenuti che il consumatore acquista o noleggia per usufruirne tramite uno qualsiasi dei dispositivi che possiede. Il fatto che per vederli se ne faccia una, cento o mille copie è diventato assolutamente ininfluente. Per tutti: consumatori, autori, distributori. Per tutti tranne che per la Siae.
La verità è che da 3 anni paghiamo una tassa che porta milioni di euro nelle casse della Società Italiana Autori ed Editori senza alcun motivo logico. Autori ed editori si sono adeguati da tempo al “nuovo mondo” e hanno adeguato il loro “modello di business” abbastanza velocemente. Lo ha fatto anche la Siae, che incassa i diritti dai negozi online e dai servizi streaming. La pervicacia con cui la Società Italiana Autori ed Editori finge di sostenere una visione del mondo preistorica è dovuta solo alla volontà di non rinunciare ai (tanti) soldi che il meccanismo dell’equo compenso porta nelle loro casse.
Ora Siae ha “chiesto” che l’equo (sigh!) compenso per copia privata venga aumentato attraverso un meccanismo ridicolo, che fa riferimento a una “media europea” disegnata su misura per incassare più denaro. Lo ha fatto sapendo che il governo, a caccia di soldi almeno quanto lo è la Società Italiana Autori ed Editori, vedrà di buon occhio una manovra che porterà nelle sue casse qualche milioncino di euro, che male non fa. Già, perché l’equo compenso si riversa sui prezzi dei prodotti e quindi genera Iva. Tutti contenti, quindi. Tranne i consumatori, che oltre a trovarsi qualche euro in meno nel portafogli, dovranno constatare ancora una volta come la logica debba arrendersi di fronte agli interessi economici contingenti.
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Re: Diritti d’autore: lo scandalo della ‘copia privata’
Ho atteso a scrivere perché leggevo (sulla rete) notizie contrastanti in merito.
Ora però che la notizia è giunta anche agli onori della cronaca, coinvolgendo le testate giornalistiche e, sopratutto le tasche degli italiani che, anche indirettamente, dovranno pagare questo balzello su prodotti che non pensavano essere dei registratori/riproduttori assimilabili a questa tassa (!!!) che, sopratutto durante il periodo natalizio, pensano al nuovo smartphone o al nuovo tablet da acquistare /regalare si sono resi conto che, anche se minima, dovranno regalare parte dei loro risparmi ad una società che nemmeno conoscevano....
Il problema è che questo balzello è stato incrementato anche in misura del 500%....
Intanto le associazioni dei consumatori si stanno muovendo, vedremo come andrà a finire....
Ora però che la notizia è giunta anche agli onori della cronaca, coinvolgendo le testate giornalistiche e, sopratutto le tasche degli italiani che, anche indirettamente, dovranno pagare questo balzello su prodotti che non pensavano essere dei registratori/riproduttori assimilabili a questa tassa (!!!) che, sopratutto durante il periodo natalizio, pensano al nuovo smartphone o al nuovo tablet da acquistare /regalare si sono resi conto che, anche se minima, dovranno regalare parte dei loro risparmi ad una società che nemmeno conoscevano....
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Re: Diritti d’autore: lo scandalo della ‘copia privata’
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SIAE: Caro Maestro Paoli, sulla ‘copia privata’ forse ha preso una stecca
di Guido Scorza | 17 dicembre 2013
Gino Paoli, Presidente della SIAE, la Società Italiana Autori ed Editori ieri ha preso carta e penna e scritto alle principali agenzie di stampa ed associazioni di categoria un’accorata nota nella quale spiega le sue ragioni a proposito di quanto sta accadendo in materia di c.d. “copia privata” e, in particolare, dell’ormai imminente varo da parte del Ministero dei Beni e delle attività culturali di un provvedimento attraverso il quale la misura del compenso dovuto da chi acquisterà smartphones, tablet e pc – oltre a dozzine di altri supporti e dispositivi – nel 2014 aumenterà di oltre 100 milioni di euro, raggiungendo la cifra da capogiro di oltre 200 milioni di euro.
La lettera di Paoli, pur dettata dalla dichiarata intenzione di fornire alcuni chiarimenti rispetto alle “demagogiche e complicatissime analisi” che il Maestro riferisce di aver letto e sentito nell’ultimo fine settimana, contiene, in realtà, una lunga serie di inesattezze ed imprecisioni.
Cominciamo dal principio.
Paoli dice che la “copia privata non è una tassa, ma il compenso che si riconosce agli autori, agli interpreti esecutori e ai produttori di contenuti”. Non è proprio così.
Il compenso da copia privata, nel nostro Paese [n.d.r. non è così, in effetti, nell’idea originaria del legislatore europeo secondo la quale la “copia privata” avrebbe dovuto essere un autentico indennizzo] è, tecnicamente, una “prestazione patrimoniale imposta” e, dunque, qualcosa di assai più simile ad una tassa che ad un compenso come hanno, di recente, chiarito i giudici del TAR Lazio.
Ma andiamo avanti.
Il Maestro Paoli dice che la SIAE, a fronte della raccolta della copia privata demandatale dalla legge, non percepirebbe “alcuna provvigione se non il recupero delle spese”.
Guai ad avventurarsi, con un grande cantautore come Paoli, in una guerra sulle parole perché se ne uscirebbe certamente sconfitti.
Anche a chiamarli “rimborsi spese” e non “provvigioni”, tuttavia, la sostanza non cambia: se il Ministro Bray disporrà effettivamente l’aumento delle tariffe della “copia privata” nella misura proposta da SIAE, quest’ultima, nel 2014 incasserà, per sé, oltre dieci milioni di euro a fronte dei quattro milioni attualmente incassati.
E’ per questo che è difficile condividere il modus operandi del Ministero che si è lasciato, sin qui, suggerire il da farsi da un solo soggetto portatore di un rilevante interesse egoistico oltre che di quello collettivo degli aventi diritto.
Ma nella lettera del Maestro Paoli ci sono tante altre piccole e grandi inesattezze.
Paoli riferisce che l’idea di adeguare le nuove tariffe dell’equo compenso alla media europea sarebbe stata del Ministro dei beni e delle attività culturali mentre la SIAE avrebbe preferito – non è chiaro sulla base di quale fondamento economico – parametrare tali tariffe alla media dei due soli Paesi europei, tra quelli “del cosiddetto G8”, nei quali sarebbe in vigore una disciplina sull’equo compenso analoga a quella italiana: la Francia e la Germania.
Anche in questo caso le cose non stanno proprio così e il Maestro Paoli, da grande interprete, canta una sua personalissima verità.
La realtà storica raccontata dai documenti trasmessi dalla “SIAE – Direzione Generale” – come recita la carta intestata – al Ministero è un’altra. Il Ministero, infatti, su suggerimento proprio della SIAE sta assumendo come “media europea” almeno in relazione alle tariffe relative a Smartphones e Tablet, il risultato di una mini-media tra le tariffe attualmente applicate solo in due o tre Paesi [Francia, Germania ed Olanda per i tablet] perché solo in questi Paesi, allo stato, i dispositivi in questione scontano un’apposita tariffa.
La media tra le tariffe in vigore in due o tre Paesi sui ventotto che costituiscono l’Unione Europea non mi sembra possa essere definita una “media europea”.
Il Presidente della SIAE, chiude la sua lettera ponendo “due semplici domande a quanti, incomprensibilmente schierati con le aziende multinazionali che producono gli apparati tecnologici, contrastano l’aggiornamento delle tariffe.”. Ecco la prima domanda: “perché in Italia le tariffe degli smartphone sono a 0,90 centesimi, quelle dei tablet a 1,90 euro e quelle dei telefoni non smartphone a 0,90 centesimi mentre in Germania variano da 16 a 36 euro (secondo le capacità di memoria) e in Francia da 2,80 a 14,72 euro?”
Non si risponde ad una domanda con un’altra domanda ma, in questo caso, la tentazione di chiedere a Paoli perché dovremmo adeguarci a quanto sta accadendo nei due Paesi a lui cari e non agli altri ventisei che costituiscono l’Unione Europea è davvero irresistibile.
La questione, tuttavia, è un’altra.
Tanto per cominciare a scorrere le tariffe francesi pubblicate dall’associazione che si occupa della raccolta dell’equo compenso da copia privata viene, ad esempio, il dubbio che in Francia non sia previsto alcun compenso per i PC, per i quali, al contrario, in Italia, si annuncia l’intenzione di esigere ben sei euro a pezzo.
Credo, poi, che il problema non sia cosa facciano un paio di Paesi europei ma se quanto sta facendo il nostro Paese sia o meno corretto e legittimo. Il “così fan pochi” non è un principio di buon governo e sarebbe opportuno non lo diventasse.
Ed ecco l’altra domanda di Paoli: perché gli autori, gli interpreti esecutori e i produttori di contenuti del nostro Paese non possono avere pari dignità e devono continuare a produrre opere dell’ingegno senza avere adeguato compenso e quindi continuando ad essere figli di un dio minore?”
E’ una domanda retorica che merita una risposta retorica.
Non c’è alcuna ragione per la quale debba accadere una cosa del genere: gli autori meritano di essere compensati in modo equo, puntuale e tempestivo per il loro lavoro ma questo non significa che ogni regola che abbia per obiettivo quello di legittimare SIAE a raccogliere più soldi debba considerarsi per ciò solo legittima.
Caro Maestro, questa volta, temo Lei abbia preso una stecca.
Capita anche ai migliori ma l’importante è riconoscerlo e scusarsi con il pubblico senza correre il rischio di incrinare, per sempre, stima e fiducia.
Chieda al Ministro di avviare una seria consultazione pubblica finalizzata a capire quando, davvero, un supporto o un dispositivo, nell’era dei giardini privati delle grandi piattaforme di distribuzione, può essere utilizzato per una “copia privata” come quelle che si facevano un tempo su cassette, videocassette, cd e dvd e poi si stabilisca, all’esito di questo difficile esercizio, quanto è giusto ed equo che venga riconosciuto ai titolari dei diritti.
Quando si chiede a chi acquista uno smartphones targato apple, android, samsung di pagare un compenso per la musica ed i film che ci registrerà e poi gli si chiede di pagarne un altro – piuttosto salato – ogni volta che vi scarica un contenuto, il dubbio che si stia pretendendo di essere pagati due volte è grande e legittimo.
SIAE: Caro Maestro Paoli, sulla ‘copia privata’ forse ha preso una stecca
di Guido Scorza | 17 dicembre 2013
Gino Paoli, Presidente della SIAE, la Società Italiana Autori ed Editori ieri ha preso carta e penna e scritto alle principali agenzie di stampa ed associazioni di categoria un’accorata nota nella quale spiega le sue ragioni a proposito di quanto sta accadendo in materia di c.d. “copia privata” e, in particolare, dell’ormai imminente varo da parte del Ministero dei Beni e delle attività culturali di un provvedimento attraverso il quale la misura del compenso dovuto da chi acquisterà smartphones, tablet e pc – oltre a dozzine di altri supporti e dispositivi – nel 2014 aumenterà di oltre 100 milioni di euro, raggiungendo la cifra da capogiro di oltre 200 milioni di euro.
La lettera di Paoli, pur dettata dalla dichiarata intenzione di fornire alcuni chiarimenti rispetto alle “demagogiche e complicatissime analisi” che il Maestro riferisce di aver letto e sentito nell’ultimo fine settimana, contiene, in realtà, una lunga serie di inesattezze ed imprecisioni.
Cominciamo dal principio.
Paoli dice che la “copia privata non è una tassa, ma il compenso che si riconosce agli autori, agli interpreti esecutori e ai produttori di contenuti”. Non è proprio così.
Il compenso da copia privata, nel nostro Paese [n.d.r. non è così, in effetti, nell’idea originaria del legislatore europeo secondo la quale la “copia privata” avrebbe dovuto essere un autentico indennizzo] è, tecnicamente, una “prestazione patrimoniale imposta” e, dunque, qualcosa di assai più simile ad una tassa che ad un compenso come hanno, di recente, chiarito i giudici del TAR Lazio.
Ma andiamo avanti.
Il Maestro Paoli dice che la SIAE, a fronte della raccolta della copia privata demandatale dalla legge, non percepirebbe “alcuna provvigione se non il recupero delle spese”.
Guai ad avventurarsi, con un grande cantautore come Paoli, in una guerra sulle parole perché se ne uscirebbe certamente sconfitti.
Anche a chiamarli “rimborsi spese” e non “provvigioni”, tuttavia, la sostanza non cambia: se il Ministro Bray disporrà effettivamente l’aumento delle tariffe della “copia privata” nella misura proposta da SIAE, quest’ultima, nel 2014 incasserà, per sé, oltre dieci milioni di euro a fronte dei quattro milioni attualmente incassati.
E’ per questo che è difficile condividere il modus operandi del Ministero che si è lasciato, sin qui, suggerire il da farsi da un solo soggetto portatore di un rilevante interesse egoistico oltre che di quello collettivo degli aventi diritto.
Ma nella lettera del Maestro Paoli ci sono tante altre piccole e grandi inesattezze.
Paoli riferisce che l’idea di adeguare le nuove tariffe dell’equo compenso alla media europea sarebbe stata del Ministro dei beni e delle attività culturali mentre la SIAE avrebbe preferito – non è chiaro sulla base di quale fondamento economico – parametrare tali tariffe alla media dei due soli Paesi europei, tra quelli “del cosiddetto G8”, nei quali sarebbe in vigore una disciplina sull’equo compenso analoga a quella italiana: la Francia e la Germania.
Anche in questo caso le cose non stanno proprio così e il Maestro Paoli, da grande interprete, canta una sua personalissima verità.
La realtà storica raccontata dai documenti trasmessi dalla “SIAE – Direzione Generale” – come recita la carta intestata – al Ministero è un’altra. Il Ministero, infatti, su suggerimento proprio della SIAE sta assumendo come “media europea” almeno in relazione alle tariffe relative a Smartphones e Tablet, il risultato di una mini-media tra le tariffe attualmente applicate solo in due o tre Paesi [Francia, Germania ed Olanda per i tablet] perché solo in questi Paesi, allo stato, i dispositivi in questione scontano un’apposita tariffa.
La media tra le tariffe in vigore in due o tre Paesi sui ventotto che costituiscono l’Unione Europea non mi sembra possa essere definita una “media europea”.
Il Presidente della SIAE, chiude la sua lettera ponendo “due semplici domande a quanti, incomprensibilmente schierati con le aziende multinazionali che producono gli apparati tecnologici, contrastano l’aggiornamento delle tariffe.”. Ecco la prima domanda: “perché in Italia le tariffe degli smartphone sono a 0,90 centesimi, quelle dei tablet a 1,90 euro e quelle dei telefoni non smartphone a 0,90 centesimi mentre in Germania variano da 16 a 36 euro (secondo le capacità di memoria) e in Francia da 2,80 a 14,72 euro?”
Non si risponde ad una domanda con un’altra domanda ma, in questo caso, la tentazione di chiedere a Paoli perché dovremmo adeguarci a quanto sta accadendo nei due Paesi a lui cari e non agli altri ventisei che costituiscono l’Unione Europea è davvero irresistibile.
La questione, tuttavia, è un’altra.
Tanto per cominciare a scorrere le tariffe francesi pubblicate dall’associazione che si occupa della raccolta dell’equo compenso da copia privata viene, ad esempio, il dubbio che in Francia non sia previsto alcun compenso per i PC, per i quali, al contrario, in Italia, si annuncia l’intenzione di esigere ben sei euro a pezzo.
Credo, poi, che il problema non sia cosa facciano un paio di Paesi europei ma se quanto sta facendo il nostro Paese sia o meno corretto e legittimo. Il “così fan pochi” non è un principio di buon governo e sarebbe opportuno non lo diventasse.
Ed ecco l’altra domanda di Paoli: perché gli autori, gli interpreti esecutori e i produttori di contenuti del nostro Paese non possono avere pari dignità e devono continuare a produrre opere dell’ingegno senza avere adeguato compenso e quindi continuando ad essere figli di un dio minore?”
E’ una domanda retorica che merita una risposta retorica.
Non c’è alcuna ragione per la quale debba accadere una cosa del genere: gli autori meritano di essere compensati in modo equo, puntuale e tempestivo per il loro lavoro ma questo non significa che ogni regola che abbia per obiettivo quello di legittimare SIAE a raccogliere più soldi debba considerarsi per ciò solo legittima.
Caro Maestro, questa volta, temo Lei abbia preso una stecca.
Capita anche ai migliori ma l’importante è riconoscerlo e scusarsi con il pubblico senza correre il rischio di incrinare, per sempre, stima e fiducia.
Chieda al Ministro di avviare una seria consultazione pubblica finalizzata a capire quando, davvero, un supporto o un dispositivo, nell’era dei giardini privati delle grandi piattaforme di distribuzione, può essere utilizzato per una “copia privata” come quelle che si facevano un tempo su cassette, videocassette, cd e dvd e poi si stabilisca, all’esito di questo difficile esercizio, quanto è giusto ed equo che venga riconosciuto ai titolari dei diritti.
Quando si chiede a chi acquista uno smartphones targato apple, android, samsung di pagare un compenso per la musica ed i film che ci registrerà e poi gli si chiede di pagarne un altro – piuttosto salato – ogni volta che vi scarica un contenuto, il dubbio che si stia pretendendo di essere pagati due volte è grande e legittimo.
Re: Diritti d’autore: lo scandalo della ‘copia privata’
un'altra puntata dello scandalo della copia privata ad uso personale (utilizzo la formula della legge per sottolineare come ad essere privato non sia l'uso, il "suonare" nei locali ma l'azione di copia, di riproduzione). Metto in grassetto una parte che evidenzia un altro concetto che più volte ho qui cercato di portare alla vostra attenzione e soprattutto per rimarcare la differenza tra la copia di supporto fisico (art. 71-sexies, appunto) ed invece la copia del vostro download che non è, quando concessa, una eccezione al diritto ma un vera e propria riproduzione autorizzata e per tanto, come l'altra, non necessita di alcuna "nuova", "altra" licenza.
E', per esempio, il caso del download di iTunes che autorizza la copia di numero X del download per il proprio uso personale e senza scopi commerciali o di lucro (esattamente come per ogni altro "originale") e per tanto perfettamente utilizzabile anche per il proprio lavoro di DJ, anzi di DiJ
http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/12 ... re/821409/" onclick="window.open(this.href);return false;
Copia privata: conoscere prima di deliberare
di Guido Scorza | 20 dicembre 2013
Nessun rifiuto precostituito all’idea che i titolari dei diritti debbano percepire un compenso laddove effettivamente i consumatori usino supporti e dispositivi per l’esecuzione di copie di opere audiovisive qualificabili come “private” ovvero né pirata, né eseguite in forza di un regolare contratto di licenza.
Un netto “no”, tuttavia, all’idea che l’equo compenso per copia privata possa trasformarsi in un iniquo balzello attraverso il quale si chieda ad un comparto di mercato ed ai suoi consumatori di finanziare le difficoltà di un mercato diverso – benché indiscutibilmente collegato – come quello dei contenuti in digitale.
E’ questa la sintesi della posizione di Confindustria digitale sull’annosa vicenda dell’imminente aumento delle tariffe dell’equo compenso da “copia privata”, presentata, oggi, in una conferenza stampa, da Stefano Parisi, presidente dell’associazione confindustriale.
“No a nuovi balzelli: tutelare la cultura senza penalizzare l’innovazione tecnologica che ne è il più potente mezzo di promozione” ha dichiarato Cristiano Radaelli, Presidente di Anitec, da Milano.
Una posizione quella delle associazioni confindustriali dell’industria tecnologica, sulla base della quale, Parisi ha chiesto al Ministro Bray di rallentare la corsa verso il varo del nuovo decreto e di invitare tutte le associazioni di categoria attorno ad un tavolo nell’ambito del quale accertare – in modo obiettivo e trasparente – quali siano, oggi, le “abitudini di consumo” degli utenti dei dispositivi e supporti in relazione ai quali si vorrebbero introdurre stratosferici aumenti delle tariffe vigenti o, addirittura, obblighi di pagamento oggi non previsti dalla disciplina vigente.
Il dubbio espresso dalle associazioni dell’industria ICT appare, in effetti, legittimo: i consumatori, infatti, fruiscono, sempre di più dei contenuti digitali in streaming o in esecuzione di contratti di licenza che li autorizzano specificatamente ad eseguire un certo numero di copie su dispositivi e supporti predeterminati.
Si tratta di forme di fruizione dei contenuti che non hanno nulla a che vedere con la disciplina sulla copia privata e, a fronte delle quali, i consumatori già pagano il compenso della licenza.
E’ eclatante il caso degli smartphones e dei tablet: è, infatti, davvero remota l’eventualità nella quale un utente utilizzi tali dispositivi per fare una copia di un contenuto acquistato al di fuori di una delle grandi piattaforme di distribuzione online pagando il relativo prezzo.
Eppure, a fronte della commercializzazione di tali dispositivi, il Decreto che il Ministro Bray si avvierebbe a varare, prevedrebbe compensi fino a 5,20 euro a pezzo.
Uno scenario che trasformerebbe certamente l’equo compenso in un iniquo balzello.
Hanno lasciato, infine, senza parole le affermazioni di Stefano Parisi relative al procedimento seguito dal Ministero nel corso dei lavori preparatori del Decreto.
Secondo quanto riferito dal Presidente di Confindustria Digitale, infatti, il Ministro avrebbe dato incarico al Comitato permanente sul diritto d’autore di verificare ed accertare se ed in che misura si rendesse necessario adeguare le tariffe dei compensi da copia privata attualmente in vigore ed il Comitato, a sua volta, avrebbe affidato tale compito alla SIAE che, tuttavia, è un soggetto portatore di un proprio personale interesse nella vicenda giacché dall’eventuale aumento dei compensi si garantirebbe entrate – a titolo di “rimborso spese” – pari ad oltre dieci milioni di euro.
Un po’ come se si chiedesse ad un esattore delle tasse che lavori a percentuale di suggerire al governo se aumentare o meno la pressione fiscale.
Parisi ha, inoltre, confermato che la “media europea” che secondo SIAE dovrebbe rappresentare il parametro rispetto al quale procedere all’adeguamento delle tariffe nel nostro Paese è stata ricavata ricorrendo ai dati di una manciata di Paesi – i soli nei quali sarebbero, allo stato, previste tariffe per dispositivi come smartphones o tablet – e che, pertanto, si tratterebbe di una media ben poco affidabile e, certamente, non “europea”.
A questo punto la palla passa al Ministro Bray che, nei prossimi giorni, dovrà decidere se fermarsi a studiare e comprendere il fenomeno prima di deliberare o “fidarsi” di quanto sin qui raccontatogli dalla SIAE e varare, comunque, gli aumenti tariffari da quest’ultima agognati.
C’è da augurarsi che saggezza e buon senso che a Massimo Bray, certamente, non difettano abbiano la meglio perché sarebbe un peccato se per accontentare pochi si scontentassero milioni di cittadini che oltre ad essere i destinatari ultimi degli aumenti di cui si discute sono anche i fruitori dei contenuti digitali.
Senza garanzia di equità non c’è speranza di costruire un nuovo patto sociale tra fruitori e produttori di contenuti del quale, oggi più che mai, in Rete si avverte l’esigenza.
E', per esempio, il caso del download di iTunes che autorizza la copia di numero X del download per il proprio uso personale e senza scopi commerciali o di lucro (esattamente come per ogni altro "originale") e per tanto perfettamente utilizzabile anche per il proprio lavoro di DJ, anzi di DiJ
http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/12 ... re/821409/" onclick="window.open(this.href);return false;
Copia privata: conoscere prima di deliberare
di Guido Scorza | 20 dicembre 2013
Nessun rifiuto precostituito all’idea che i titolari dei diritti debbano percepire un compenso laddove effettivamente i consumatori usino supporti e dispositivi per l’esecuzione di copie di opere audiovisive qualificabili come “private” ovvero né pirata, né eseguite in forza di un regolare contratto di licenza.
Un netto “no”, tuttavia, all’idea che l’equo compenso per copia privata possa trasformarsi in un iniquo balzello attraverso il quale si chieda ad un comparto di mercato ed ai suoi consumatori di finanziare le difficoltà di un mercato diverso – benché indiscutibilmente collegato – come quello dei contenuti in digitale.
E’ questa la sintesi della posizione di Confindustria digitale sull’annosa vicenda dell’imminente aumento delle tariffe dell’equo compenso da “copia privata”, presentata, oggi, in una conferenza stampa, da Stefano Parisi, presidente dell’associazione confindustriale.
“No a nuovi balzelli: tutelare la cultura senza penalizzare l’innovazione tecnologica che ne è il più potente mezzo di promozione” ha dichiarato Cristiano Radaelli, Presidente di Anitec, da Milano.
Una posizione quella delle associazioni confindustriali dell’industria tecnologica, sulla base della quale, Parisi ha chiesto al Ministro Bray di rallentare la corsa verso il varo del nuovo decreto e di invitare tutte le associazioni di categoria attorno ad un tavolo nell’ambito del quale accertare – in modo obiettivo e trasparente – quali siano, oggi, le “abitudini di consumo” degli utenti dei dispositivi e supporti in relazione ai quali si vorrebbero introdurre stratosferici aumenti delle tariffe vigenti o, addirittura, obblighi di pagamento oggi non previsti dalla disciplina vigente.
Il dubbio espresso dalle associazioni dell’industria ICT appare, in effetti, legittimo: i consumatori, infatti, fruiscono, sempre di più dei contenuti digitali in streaming o in esecuzione di contratti di licenza che li autorizzano specificatamente ad eseguire un certo numero di copie su dispositivi e supporti predeterminati.
Si tratta di forme di fruizione dei contenuti che non hanno nulla a che vedere con la disciplina sulla copia privata e, a fronte delle quali, i consumatori già pagano il compenso della licenza.
E’ eclatante il caso degli smartphones e dei tablet: è, infatti, davvero remota l’eventualità nella quale un utente utilizzi tali dispositivi per fare una copia di un contenuto acquistato al di fuori di una delle grandi piattaforme di distribuzione online pagando il relativo prezzo.
Eppure, a fronte della commercializzazione di tali dispositivi, il Decreto che il Ministro Bray si avvierebbe a varare, prevedrebbe compensi fino a 5,20 euro a pezzo.
Uno scenario che trasformerebbe certamente l’equo compenso in un iniquo balzello.
Hanno lasciato, infine, senza parole le affermazioni di Stefano Parisi relative al procedimento seguito dal Ministero nel corso dei lavori preparatori del Decreto.
Secondo quanto riferito dal Presidente di Confindustria Digitale, infatti, il Ministro avrebbe dato incarico al Comitato permanente sul diritto d’autore di verificare ed accertare se ed in che misura si rendesse necessario adeguare le tariffe dei compensi da copia privata attualmente in vigore ed il Comitato, a sua volta, avrebbe affidato tale compito alla SIAE che, tuttavia, è un soggetto portatore di un proprio personale interesse nella vicenda giacché dall’eventuale aumento dei compensi si garantirebbe entrate – a titolo di “rimborso spese” – pari ad oltre dieci milioni di euro.
Un po’ come se si chiedesse ad un esattore delle tasse che lavori a percentuale di suggerire al governo se aumentare o meno la pressione fiscale.
Parisi ha, inoltre, confermato che la “media europea” che secondo SIAE dovrebbe rappresentare il parametro rispetto al quale procedere all’adeguamento delle tariffe nel nostro Paese è stata ricavata ricorrendo ai dati di una manciata di Paesi – i soli nei quali sarebbero, allo stato, previste tariffe per dispositivi come smartphones o tablet – e che, pertanto, si tratterebbe di una media ben poco affidabile e, certamente, non “europea”.
A questo punto la palla passa al Ministro Bray che, nei prossimi giorni, dovrà decidere se fermarsi a studiare e comprendere il fenomeno prima di deliberare o “fidarsi” di quanto sin qui raccontatogli dalla SIAE e varare, comunque, gli aumenti tariffari da quest’ultima agognati.
C’è da augurarsi che saggezza e buon senso che a Massimo Bray, certamente, non difettano abbiano la meglio perché sarebbe un peccato se per accontentare pochi si scontentassero milioni di cittadini che oltre ad essere i destinatari ultimi degli aumenti di cui si discute sono anche i fruitori dei contenuti digitali.
Senza garanzia di equità non c’è speranza di costruire un nuovo patto sociale tra fruitori e produttori di contenuti del quale, oggi più che mai, in Rete si avverte l’esigenza.
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Equo compenso, arriva lo stop del ministro Bray
Ogni tanto i nostri politici riescono a prendere la decisione giusta anche quando si parla di tecnologia. Il ministro Massimo Bray ha infatti sospeso temporaneamente la norma che prevedeva l’aumento delle tariffe legate alle copie private dei dispositivi digitali. Doccia fredda per la SIAE.
Il ministro dei beni e delle attività culturali ha infatti deciso di avviare uno studio per capire le abitudini degli italiani nell’utilizzo dei dispositivi digitali, per capire se effettivamente tali dispositivi vengono utilizzati in un modo tale da giustificare l’aumento richiesto dalla SIAE.
Lo scopo dell’indagine è la misurazione “scientifica” dei consumi legati alle varie tipologie di opere dell’ingegno. Questo significa che Bray vuole capire quanti e quali dispositivi elettronici vengono effettivamente utilizzati dagli italiani per utilizzare una copia privata.
In questo modo, il governo cercherà di capire se il consumo di opere mediato da CD, smartphone, tablet, hard disk sia davvero cresciuto così tanto negli ultimi tre anni da giustificare l’aumento del 500 per cento richiesto da SIAE per adeguare le tariffe italiane alle medie europee.
Il ministro dei beni e delle attività culturali ha infatti deciso di avviare uno studio per capire le abitudini degli italiani nell’utilizzo dei dispositivi digitali, per capire se effettivamente tali dispositivi vengono utilizzati in un modo tale da giustificare l’aumento richiesto dalla SIAE.
Lo scopo dell’indagine è la misurazione “scientifica” dei consumi legati alle varie tipologie di opere dell’ingegno. Questo significa che Bray vuole capire quanti e quali dispositivi elettronici vengono effettivamente utilizzati dagli italiani per utilizzare una copia privata.
In questo modo, il governo cercherà di capire se il consumo di opere mediato da CD, smartphone, tablet, hard disk sia davvero cresciuto così tanto negli ultimi tre anni da giustificare l’aumento del 500 per cento richiesto da SIAE per adeguare le tariffe italiane alle medie europee.
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Re: Diritti d’autore: lo scandalo della ‘copia privata’
pensa che 2 giorni fa mi son messo a discutere con un discografico che pur di non dire che la cosa non solo era vera ma pure giusta, ha cominciato a parlare di youtube e Nokia... e io che gli chiedevo, è che c'entra con la copia privata? Lui niente, sempre drittp col suo discorso...